martedì 11 gennaio 2011

e adesso? adesso tango, come sempre

non so se per pudore o imbarazzo o voglia di no, ma tu al negozio non ci entri . prendo dei collant, belli, morbidi, profumati, rassicuranti e solo per giocare scelgo due brasiliane. mi avvicino alla vetrina e te le mostro alzandole. Urlo:
“destra o sinistra?”
arrossisci ma ti viene da ridere.
“sinistra”.
io avrei comunque comprato quelle. nere con righina rossa, vagamente natalizie.
pago e sono da te.
“bagno?”
“non scherzerai mica? lavanderia!”
“lavanderia per un paio di mutande?”
“e che c’entra? tu non ti cambi fino a che non fai un pieno carico?”
 
in lavanderia ci siamo solo noi. peccato. no, meno male.
lavaggio breve con asciugatrice. intanto parliamo.
mentre sono girata a mettere gli spiccioli nella macchinetta del caffè dico:
“c’è una cosa che proprio non capisco: come fanno i tuoi figli a non essere anche i miei?”.
“non essere stupida”
 
la lavatrice ci salva.
la apro, prendo le mutande e mi sfilo le scarpe e poi le calze sganciandole e poi le butto nel cestino e mi infilo le mutande e poi i collant 80 denari e con manovre acrobatiche mi tolgo il reggicalze che metto nella borsa.
tu mi guardi senza parlare e non hai visto niente.
 
e adesso? 
 
adesso tango.
come sempre.


lunedì 10 gennaio 2011

sbranarsi

c'era parecchia gente, ma mi hai vista tra gli altri.
ti sei avvicinato e:
"se aspetti ti offro un caffè".
 
offerta irrinunciabile.
 
eri bello come vent'anni fa, forse di più.
 
pioveva. avevo una gonna corta, non cortissima, scozzese, avio, marrone , grigio. righetta gialla.
 
quando hai finito ci siamo avviati sottobraccio. la pioggia ci costringeva a stare così, stretti come vecchi amici. parlavamo, ridevamo, sembrava non avessimo fatto altro per tutta la vita. all'ingresso hai posato il mio ombrello  e ci siamo seduti.
 
"sono calze quelle che ho visto?"
"si"
"autoreggenti?"
"no, calze con reggicalze di pizzo nero"
"come le mutandine?"
"mmhh no, niente mutandine"
"non ci credo"
"credici"
"fammi sentire"
ho aperto le gambe. hai avvicinato la sedia con la mano sinistra e con la stessa mano sei andato diritto al punto.
avrei voluto chiudere le gambe per istinto.
avresti voluto chiudere gli occhi per istinto.
e invece ... abbimo resistito, occhi negli occhi con il calore della tua mano sulla mia figa e neanche il pelo a proteggermi.
lontano il rumore del bar.
"tu mi vuoi"
silenzio
"dimmi che mi vuoi"
silenzio
"vuoi che ti scopi? tu vuoi che ti scopi?"
è arrivato il caffè con la cameriera, tacchi alti e tette grosse.
hai tolto la mano e appoggiato gli occhi al tavolino. sapevamo tutto, capivamo tutto ma fecevamo finta di no, come sempre.
"bevi anche il mio caffè"
me ne sono andata.
 
fuori. ancora, di nuovo pioggia sul viso o lacrime e un altro ombrello da comprare.
 
ho camminato.
qui non piove, aspetto l'autobus.
arrivi tu.
ti metti al mio  fianco, ti guardo. pioggia o lacrime anche per te.
ti prendo la mano e tu lasci fare.
"dove andiamo?"
"a comprare le mutande".
 
 
questo è quanto.
 

venerdì 7 gennaio 2011

ti aspettavo dal mare

ogni sera arrivo e tu sei là. seduto dentro il piumino, a guardare il mare.
ogni sera ti giri, mi sollevi la gonna e un po' annoiato dici:
"ti aspettavo dal mare. gambe?"
 
sorrido, mi siedo dentro di te. mi abbracci con le tue ali di piumino. a volte siamo vestiti, a volte nudi. a volte vorrei baciarti ma non voglio perdere neanche un minuto. ci sono ancora così tante cose da dire e tanti silenzi da aspettare e tante storie da inventare. a volte ci tocchiamo. a volte ascoltiamo solamente.
 
un giorno uscirò dal mare . tu dirai:
 
"dovevi restare una donna"